Ormai mi sono dato ai racconti. E
all’alcool, saltuariamente però. No, non voglio emulare Bukowski, cielo, chissà
quanti ci avranno provato. Uno che – oh, lui sì – beveva, andava a troie e
scommetteva alle corse dei cavalli. Tutte cose io non ho praticamente mai
fatto. Perché non basta sfasciarsi dal bere e poi mettersi a scrivere, a
raccontare di averla presa grossa, andando a zonzo per la città, dopo aver
caricato una puttana in una macchina di seconda mano, quando prima si è perso
50 bigliettoni all’ippodromo per colpa di un cavallo brocco con un nome
imbarazzante tipo Oklahoma Fitzgerald Blue.
Perché bisogna scrivere di quel
che si conosce, e Guastalla non è Los Angeles, ma nemmeno Reggio Emilia o
Mantova o Bologna. E allora ci si deve muovere da questo paese del cazzo. Lo
stesso paese del cazzo che fino a pochi anni fa mi sembrava il miglior posto
dove vivere, dove hai tutto e non ti manca niente. Adesso mi fa sempre più
schifo. Pieno di bigotti, che se ci guardi ben dentro son tutti o puttanieri
cornuti o froci e lesbiche. Spesso entrambe le cose.
C’è poco da fare qua, nonostante
il Guastalla alcoolic tour: ovvero il giro dei bar/pub della “capitale” della
bassa. Stasera, ad esempio, raccolgo i miei amici e ce ne andiamo in giro per i
locali notturni guastallesi. Partenza Duca – e non potrebbe essere altrimenti
–, poi Campanon e Chloé. Totale: cinque/sei americani e un’anima nera (formato
maxi) a testa in meno di tre d'ore. Con tanto di un paio di fighe raccolte per strada, proprio in Piazza Mazzini, se la memoria non mi inganna. (se leggono
qua si incazzano da ufo, secondo me). Alla fine convinciamo le ragazze a seguirci, andiamo
dal paninaro e poi a lido Po, alla Quadra, a bere un paio di buone birre
defaticanti. Defaticanti come la fase di strecthing alla fine di una bella
corsa dopo una stronzissima giornata di lavoro.
Ma voglio darvi un altro esempio
di vita di campagna, sfatando il mito della gente di provincia sempre gentile e
cordiale – cordiale un cazzo – vi racconto questa. L’altro giorno ero in posta,
avevo davanti un indiano, già allo sportello, e dietro un classico bifolco
nostrano: un redneck della bassa, tanto per intenderci. Questo redneck non ha
fatto altro che lamentarsi, bestemmiare e tirar dei cancheri perché c’erano
solo due sportelli aperti, perché ci sono sempre i beduini davanti, perché la
gente non fa un cazzo e lavora solo lui, perché c’è crisi, il morbo della mucca
pazza e la deriva dei continenti. Se avevi fretta ti svegliavi un po’ prima,
coglione. Inevitabilmente litigo con questo fiappo grassone, ma poi preferisco
lasciar perdere. Meglio così: a volte mi stupisco della mia civiltà.
“La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga il
biglietto.”Aveva del talento Bukowski. Non aveva certo le mie paranoie. A
proposito di paranoie: ultimamente faccio pure dei sogni stranissimi, che
puntualmente scordo. Ecco, se c’è una cosa che proprio mi scoccia è quella:
scordarmi i sogni. Delle mattine mi sveglio e mi dico: che sogno della madonna,
adesso ci faccio su un racconto bellissimo! Poi, puntualmente, mi scordo tutto
dopo aver fatto colazione. Dovrei imparare a prendere appunti subito, appena
sveglio, anche sul telefono, perché no. Anche se preferisco vedere le parole
che scorrono e prendono forma con l’inchiostro su un foglio di carta.
Nonostante la mia calligrafia sia orribile, illeggibile ai più e pure al
sottoscritto a volte. Ma mi piace moltissimo, e poi mi rilassa e mi concentra,
altro aspetto da non sottovalutare. Tornare indietro, rileggere, tirare una
riga, aggiungere, scrivere sopra una cancellatura, fare richiami con asterischi
e simboli vari. La cosa più bella? Se ti accorgi di aver scritto un mucchio di
stronzate puoi sempre fare una pallina di carta e sparare una bomba nel
cestino! Ferro-ferro-fuori, che sfiga: mi rifarò nell’overtime.
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