Thursday, August 12, 2010

cuatro días en Barcelona

Primo giorno.
Arriviamo alla stazione nord-arco di trionfo. Stanchi, occhi gonfi e palpebre pesanti come blocchi di ghisa. Il Checco ci viene a prendere, ha la faccia di uno che la sera prima ha dato, e parecchio anche. Facciamo il mini-abbonamento per la metro e portiamo le valige al piso. Il nostro piso si trova in Calle Valencia n. 470, a due minuti a piedi dalla Sagrada Familia. La stanza del Checco fa schifo, è proprio un asco come dicono qua; quattro metri per due di confuzione e panni sporchi. Però sulla parete domina il poster dell’Inter campione d’Europa: rispetto. Scendiamo subito per strada e ci fermiamo in una baretto: tres cañas porfa. Y otros tres. Torniamo a casa e conosciamo Fausto, il ragazzo andaluso che vive con noi. Gli hanno dato un nome italiano perché ha una nonna italiana di chissà dove. Ci docciamo, infiliamo un costume e andiamo verso la spiaggia, destinazione Barceloneta.
Al primo semaforo passa una macchina con due surrogati di indios dentro: si sono addormentati nel coche. Ogni tentativo di svegliarli è vano. Per fortuna Fausto lavora come infermiere in una clinica e assicura tutti che i due indios borrachos sono vivi. La Guardia Urbana ci mette mezzora ad arrivare e, dopo qualche risata, fa sfollare tutti i curiosi riunitisi per prendere a sberle i due piloti in coma senza che questi battessero ciglio.
Passiamo davanti al Monumental ovvero l’arena dove si svolgono le corride. Le ultime perché dall’anno prossimo non saranno più legali: in Catalunya sono state abolite. È un sacco imponente da fuori. Bello bello, meno bello quello che fanno dentro. Andiamo avanti, attraversiamo il parco della Ciutat Vella, vediamo la fontana (che un po' mi ricorda L'Altare Della Patria) e il Castell Dels Tres Dragons. Arriviamo a Barceloneta, finalmente perchè Burga non ne poteva più di camminare. Qui notiamo un vecchio fricchettone supertatuato, subito non ci accorgiamo che è nudo: ha le chiappe completamente tatuate, sembra indossare gli slip, ma non si può far finta di non vedere un "manganello" alla Rocco Siffredi che gli penzola tra le cosce, que asco! Schifati e stanchi, dopo tanta strada a piedi e il viaggio sulle spalle, ci cagiamo sulla spiaggia. Il Burga si addormenta.
Decidiamo di tornare verso casa. Per le strade di Barceloneta c'è il Buskers Festival, un festival di artisti di strada (busker in inglese vuol proprio dire artista di strada); se non ricordo male, in Italia l’abbiamo visto dalle parti di Ferrara. Barceloneta è un sacco moderna e stacca dal resto della città. Tra grattacieli, fontane e altre architetture moderne vediamo anche l’Arco di Trionfo. La sera il Checco, da buon italiano, fa da mangiare per tutti. Dopo cena ci trasferiamo all'altro piso, dove arrivano tre ragazzi che nessuno conosce: Uri, Alejandro y Gina. Scopro che sono amici di Fau. Sono i classici ragazzi spagnoli, casinisti ed estroversi. Sbevazziamo qualche chupitos in casa, poi si opta per il Razzmatazz, una superdiscoteca su cinque piani. 15 euro più consumazione: onesto. Lì accade un po’ di tutto, ci sono un sacco di italiani – si riconoscono subito – e di gay – si riconoscono subito anche quelli. Dal Razzmatazz torniamo a casa a piedi, noi tre: abbiamo perso Fausto, i tre ragazzi nuovi e le altre ragazze del piso. Ci fermiamo a prendere un churro e una birra. Facciamo una siesta ad ogni panchina. E ad ogni panchina il Burga si addormenta, come Nonno Abraham. Finalmente torniamo al piso ed andiamo a letto: son las seis y media de la mañana. Non male come primo giorno.

Secondo giorno.
Ci svegliamo verso le due e mezza, siamo ben riposati, io voglio andare a vedere il Camp Nou e convinco Burga e Checco ad accompagnarmi. Mangiamo un piatto di spaghetti cinesi in una specie di tavola calda, il Burga chiede un’insalata, il so fegato chiede pietà. Qui i bar son tutti gestiti da cinesi o nordafricani o sudamericani. Dopo un po’ di strada a piedi, un po’ di metro e un altro po' di strada a piedi arriviamo. Il museo del Camp Nou chiude solo la domenica pomeriggio... “che giorno è oggi?” che sfiga. Mi accontento di fare solo qualche foto da fuori, assieme a qualche altro turista rimasto inculato come me.
Da animalista a da buon izquierdoso convinco Checco e Burga a non andare a vedere la corrida al Monumental. Così Checco ci porta a vedere il Parc Güell, con la famosa salamandra di Gaudì e tutto il resto. Il parco domina dall’alto la città. C’è una terrazza, da lì si vede tutto: Las Ramblas, il centro strorico, el Gotico, el Raval e i grattacieli, tra cui la Torre Agbar, che qua chiamano amichevolmente el consolador (il vibratore). Davvero bello.
Torniamo a casa, mangiamo e ci prepariamo per uscire. Andiamo nel Barri Gotic, entriamo al Polaroid Bar. Fa molto anni ’80, las cañas y los chupitos non costano un cazzo e allora ci diamo dentro. Ci spostiamo più in là, sempre per Carrer Dels Còdols, al Mariachi: il locale di Manu Chao. I mariachi sono i caratteristici gruppi musicali messicani con due-tre-quattro chitarre e voce, si vedono spesso nei film. È un sito molto caratteristo, c’è un tizio che suona la chitarra e canta por un beso de la flaca daria lo que fuera… di Jarabe De Palo. Mi piace un sacco quel posto! Usciamo, camminiamo un po’. In realtà son due giorni che camminiamo un po’: meglio prendere un taxi. Ci facciamo portare al porto olimpico. Al porto olimpico ci sono un sacco di piccoli discopub, dove non paghi nulla per entrare ma un cocktail costa veramente tanto. Meglio prendere la birra a un euro dai paki lì davanti. Non si potrebbe bere per strada a Barcellona, ma se non fai lo stronzo nessuno ti dice niente. Meglio non provocare i Mossos D’Esquadra…
Io non ne ho più, torniamo a casa, a piedi. Sono le sei. Io vado a letto, il Burga e Checco giocano a Isspro fino alle otto. Burga è totalmente negato e non riescono a battere Israele con la Germania (una squadra a caso…). Non riescono a battere neanche la Francia con l’Italia. È lunedì mattina e Christel, la francese che vive nel nostro piso, si sveglia per andare a lavorare – ¡Holà! – mentre Burga e Checco infamano i giocatori transalpini – ¡Holà!

Terzo giorno.
¡Que resaca hoy! Siamo cotti, oggi pomeriggio stiamo in casa a giocare con la play. Israele sembra imbattibile. Burga è proprio scarso, io me la cavo, ma il Checco riesce sempre a battermi. Que cabron! Incomincio a prendere dimestichezza con lo spagnolo, è una lingua che mi piace: ha dei bellissimi suoni, le j, le s, le c...
Nel tardo pomeriggio usciamo, andiamo a far la spesa per preparare la Paella. Prendiamo il riso, il pesce e le verdure. Torniamo a casa e il Checco si mette a cucinare mentre noi capre lo aiutiamo, apparecchiamo la tavola e prepariamo il kalimotxo, una curiosa bevanda di origine basca, composta per la metà da vino tinto (qualità Tavernello) e Coca-Cola per l’altra metà. Il Checco ha il pc, che qui chiamano l’ordenador. In Spagna hanno un po’ la manìa di tradurre tutto, e quello che non traducono lo pronunciano alla loro maniera, ad esempio: le LuckyStrike sono le LuquiStrique, o più semplicemente le Luqui. Il checco ci racconta di un tizio che una volta gli ha detto: “estás más peligroso que Maguivér en una ferreteria”
“Maguiver?!”
“ma sì, sai quello che fa la bomba atomica con una graffetta…”
“ah! McGyver!”
“que?! Maguiver..!”
Che capre! Però hanno la wireless free per tutti, e questa è una gran cosa, brava spagna: uno a uno! Sono molto curioso, e ho voglia di imparare così Fausto mi insegna lo spagnolo, anzi le parolacce. Ci racconta che il Mitsubishi Pajero in Spagna l’hanno chiamato Montero, perché in spagnolo paja vuol dire sega e pajero segaiolo. Che storia!
È pronto in tavola. Tutti assieme mangiamo l’ottima paella del Checco: il cuoco, il Burga, Fau, la francese ed io, solo la Silvia non si fida del nostro cocinero. La Silvia è una ragazza catalana che vive con noi e parla molto bene l’italiano perché ha fatto l’Erasmus a Pesaro.
È tardi, ma usciamo, Fau rimane a casa “porqué mañana trabajo”, che pacco, ha il turno dalle due alle sette de la tarde. Checco ci deve portare all’Apolo, un locale dove tutti i lunedì fanno il Nasty Monday. Un nome un programma! Prendiamo un taxi perché è già l’una e la metro chiude a mezzanotte. I taxi sono molto economici, paghiamo siete euro y cincuenta in tre. Per entrare all’Apolo c’è una coda della madonna, allora desistiamo dall’idea e beviamo un mojito (a tres euro y cincuenta!) nel bar di fronte. Andiamo in giro per il Barri Raval (da ravanare…), ovvero l’ex quartiere malfamato della città. C’è da camminare molto anche lì. Però meglio così, è quella la vera Barcellona. È un’impresa trovare dei bar aperti oggi – è pur sempre lunedì e sono le due di notte anche in Catalunya. Poca roba stasera, torniamo a casa a piedi dopo aver girato per il Raval e le rambla. È relativamente presto, ma sono comunque le quattro passate.

Quarto giorno.
Ci svegliamo presto: è l’una. Andiamo in centro per fare shopping, che bravi turisti! Cerco la maglietta della Nazionale Catalana, la Selecció Catalana. Camminiamo per Passeig De Gracia, scatto qualche foto. Facciamo un giro in uno dei tanti negozi dell’FC Barcelona, la città ne è piena. Qua per il Barça sono davvero invasati. Ci sono le facciate dei palazzi coperte da tendoni con i giocatori Blaugrana, Piqué è l'idolo di casa quanto Messi, Iniesta e Xavi, forse anche di più essendo barcelonin.
Entriamo in un negozio enorme, c’è di tutto, dagli articoli sportivi alle televisioni, dai libri al bar. Un commesso mi spiega che la maglia della nazionale catalana non c’è, perché quest’anno non hanno fatto nessuna amichevole e quindi la camiseta non è stata prodotta. Ci rimango male. Io e Checco giriamo in lungo e il largo per i sei piani del negozio ma non troviamo più Burga. Niente, l’abbiamo perso. Che capra! Decidiamo di continuare a girare per il centro. Mi porta a vedere la cattedrale e dei negozietti che vendono souvenir. Compro la maglietta dell’RCD Espanyol per un amico. Tornando verso casa passiamo per il Raval. Beviamo dos cagnas dalle parti del MACBA, il museo d’arte contemporanea di Barcellona – dove davanti si scatenano tutti gli skateboarder della città. Merda, ce ne sono un sacco! Passiamo per Plaça Reial e per la Plaça de la Universitat, dove una barbona mi scrocca la Pepsi. Vicino al piso c’è un negozietto di souvenir gestito da indiani, non ho trovato la camiseta della Selecció Catalana allora compro la bandiera della Catalunya Lliure, la Catalogna Libera. Qua la pensano quasi tutti così, infatti per i mondiali hanno festeggiato solo i turisti e quei quattro gatti che tifano l’Espanyol, gli unici a sentirsi spagnoli in Catalunya. Il Checco è un ottimo contrattatore e fa scendere il prezzo della bandiera da venti a dieci euro.
Saliamo al piso, e troviamo Burga, che ha comprato una cartina ed è riuscito a tornare a casa. Mentre noi, rincasando, ci eravamo fatti un viaggio: trovavamo i suoi occhiali in terra, per strada, con una lente crepata e i segni della sgommata di un’auto: il rapimento di un ricco turista italiano, un classico.
Convinciamo Fausto a uscire con nosotros, cazzo è la nostra ultima sera. Il Checco ci promette di portarci in un locale, il Wall Street Bar, o qualcosa di simile. Poi cambia idea perché non vuole esser perseguitato da due brutte fighe – parole sue – che corrono dietro a lui e a Fau – sempre parole sue. Allora andiamo in giro per il Gotico. A piedi, tanto per cambiare. Prendiamo un kebab da dei magrebini, Burga chiede un dürüm de polla, forse era meglio un dürüm de pollo… Finita la cena riprendiamo il nostro percorso per il gotico. Entriamo al Nevermind in Calle Escudellers Blancs, faccio senza spiegarvi che fa molto Seattle. Cuatro cervezas. Le casse suonano Bulldozers and Slaves dei Sound Garden e scopro con piacevole sorpresa che anche Fausto ascolta il Grunge. Siamo vicini a Carrer dels Còdols e torniamo al Polaroid Bar, perché là si beve e tanto e si spende poco. “Cuatro cañas por favor”. Cuatro chupitos. Cuatro cañas y otros cuatro y otros cuatro. Fanculo, è la nostra ultima sera. Andiamo al Mariachi. Cuatro cagnas y otros cuatro. Y otros tres, tres perché Fau non beve più, “mañana trabajo”. Fuori dal Mariachi facciamo conoscenza con quattro francesi, un nero coi rasta che fuma una canna, un vecchio fricchettone, una ragazza cessa e un omone col cappello da pescatore che mi ricorda Chad Smith, il batterista dei Red Hot. Quest’ultimo ci racconta che prima viveva in Italia, ma adesso vive qua a Barcellona e sta disimparando l’italiano. Ci tirano una secchiata d’acqua. E un’altra che prende in pieno il francese. E lui non la prende neanche male, tanto fa caldo e poi mejor que una meada. ¡W la compañia de los salidos! Andiamo alle ramblas e torniamo a casa. Fausto va a letto:
“mañana trabajo”
“vale vale!!”
Il Checco fa gli spaghetti. Il Burga è fuori e prepara los kalimotxos para todos. Finalmente, dopo quattro giorni, ha imparato a dire calimocio e non caramucio, calimero… Che capra! Mi addormento sul divano mentre gli altri giocano alla play. Che peccato, la vacanza è finita, ma c’è ancora Israele da battere…

4 comments:

Unknown said...

leggere le tue storie, i tuoi "viaggi" è sempre piacevole. complimenti. secondo me dovevi iscriverti a lettere... ingegneria non centra un cazzo !!

McGuyver said...

Cece ottimo resoconto..mi sono veramente ritrovato in quello che hai scritto..aahhahahahah..Ritorno adesso dall'Andalusia che per farti capire è una terra abitata da persone dall'aspetto normale che sembrano esseri umani..ma che hanno lo strano vizio di bere qualsiasi cosa contenente alcol.Ohi e ricordati che quando vuoi venire a trovarmi un materasso per terra te lo posso buttare sempre.

Cesare Rensenbrink said...

ehehe, grazie ragazzi, in effetti questo racconto è venuto proprio bene! un abraccio

Cinno said...

Bella Cece... Davvero un bel racconto... :D Consiglio pure io lettere...
Leggendo il racconto avrei proprio voluto esserci... :P

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