“Faccio un macello” disse serio Fede tra sé e sé, scalando le marce
dell’ape verde pisello e dando gas.
Tutti i giorni, Federico detto
Fede, andava su e giù per la valle con la sua Apecar verde pisello. Faceva
sorridere un omone di quasi due metri dentro un affare troppo stretto e così
scomodo per uno della sua stazza, costretto a guidare con le ginocchia in gola.
Tutti i santi giorni su e giù per la valle: sole, neve, nebbia, tempesta;
avanti e indietro da casa, casa della zia, dove si fermava a mangiare, e la
falegnameria Bianchi dove lavorava e dove ha sempre lavorato.
Alla BianchiLegno srl - c’è
tutt’ora - fanno principalmente infissi, finestre e porte, ma anche altro. Suo
zio Walter lavorava qui come commerciale e lo aveva raccomandato alla
proprietaria, tale Alba Bianchi, ma per tutti la Signora Alba. La Signora Alba
era una donna sulla sessantina, simpatica, corpulenta e coi capelli biondi
tinti, aveva sempre una buona parola per tutti.
“È un ragazzo serio, un gran
lavoratore, non se ne pentirà” disse lo zio Walter alla Signora Alba, e lei si
fidava molto dei suoi più stretti collaboratori. Fece bene, perché a Fede
piaceva la falegnameria, amava l’odore del legno, della segatura e della colla.
E amava lavorare con le mani perché così, tenendosi anche la testa impegnata,
le giornate volavano via. Non era il tipo da star seduto tutto il giorno in
ufficio davanti a un computer oppure parlare al telefono per ore con dei rompiballe.
Lavorava anche il sabato, ma solo mezza giornata, così, dopo essersi fermato
dalla zia Adele a mangiare, andava al bar a farsi i cazzi suoi e poi tornava a
casa sua, per mettere un po’ a posto. Gli pesava che la zia l’aiutasse anche
nelle faccende domestiche, a parte stirare: quello lo odiava proprio. Fede
viveva in una villetta tutta su un piano, all’inizio della via che va sulla
montagna, verso il rifugio. Abitava lì con suo fratello minore, Giuseppe detto
Bepi, più piccolo di lui di otto anni.
Ma questo sabato aveva un chiodo
fisso in testa: la festa giù in Città. In Città ci andava poco e malvolentieri:
lo riteneva un posto per fighetti, amministrato da comunisti incapaci e
fancazzisti. Per questo motivo era piena di terroni ed extracomunitari che
sporcavano le strade e facevano casino la sera fino a tardi. Ma questa volta
doveva andare. Non era preoccupato delle conseguenze, quello schifo doveva
finire ancor prima di incominciare. E non scherzava Fede, mentre tra se e se
ripeteva “faccio un macello”.
La Città avrebbe ospitato lo
European Rainbow Project al FrackAsso. Questo FrackAsso era, anzi, è un locale situato nella zona industriale
nord della Città. Essendo, infatti, la vecchia sede di un’acciaieria si trovava
lì, in mezzo alle fabbriche ed ai capannoni. Costruito su tre livelli (di cui
uno sotterraneo) è molto capiente, tanto da avere una media di tre-quattromila
ingressi a serata con punte di cinquemila. Tuttora è il fulcro della vita
notturna della zona, richiamando ogni volta ragazzi da tutta la provincia e
anche dalle province limitrofe.
Lo European Rainbow Project era
un’organizzazione nata a Berlino, una specie di carnevale europeo itinerante
che girava per i locali più famosi d’Europa, e si poteva entrare solo in
maschera, con un’importante partecipazione di giovani ragazzi, soprattutto gay
e lesbiche. Quell’anno aveva toccato oltre a Berlino, l’ormai solito punto di
partenza, altre città importanti del vecchio continente come Praga, Graz,
Rotterdam, Anversa, Barcellona, Antibes e aveva sempre riscosso enorme
successo.
Sarebbe andato da solo giù in
Città. “Ti caccerai in un bel guaio” gli disse la coscienza. “Allora meglio non
coinvolgere gli altri” gli rispose lui. Duro ma saggio, Fede era sicuro di sé.
Non voleva farlo per consolidare la leadership nella setta, chi avrebbe potuto
levargliela? Nessuno. Non voleva farlo nemmeno per andare al telegiornale, o
apparire sulle pagine di cronaca nera locale, o tanto meno rendersi immortale
agli occhi delle future generazioni più o meno estremiste.
Non doveva dimostrare niente a
nessuno, Fede.
E allora perché? Senso del
dovere? Forse. “La mia città invasa da quelle checche isteriche? – si domandò –
Non lo posso permettere. Non ne abbiamo già abbastanza di marocchini,
immigrati, comunisti e compagnia bella? Adesso vado là e tutti quelli che mi
capitano a tiro li prendo a sprangate”.
Si chiuse dietro la portella,
accese il motore e andò a fare il pieno all’ape verde pisello.
Chi vuole leggere il resto del racconto può mandarmi una mail, una twittata o facebookkata...
2 comments:
Voglio la spilletta da Cece Fan #1 :) è bravo questo scrittore, e migliora di racconto in racconto ^^
grazie vale, sei la #1!!!
Post a Comment