Friday, February 10, 2012

Dog Eat Dog


 “Faccio un macello” disse serio Fede tra sé e sé, scalando le marce dell’ape verde pisello e dando gas.

Tutti i giorni, Federico detto Fede, andava su e giù per la valle con la sua Apecar verde pisello. Faceva sorridere un omone di quasi due metri dentro un affare troppo stretto e così scomodo per uno della sua stazza, costretto a guidare con le ginocchia in gola. Tutti i santi giorni su e giù per la valle: sole, neve, nebbia, tempesta; avanti e indietro da casa, casa della zia, dove si fermava a mangiare, e la falegnameria Bianchi dove lavorava e dove ha sempre lavorato.
Alla BianchiLegno srl - c’è tutt’ora - fanno principalmente infissi, finestre e porte, ma anche altro. Suo zio Walter lavorava qui come commerciale e lo aveva raccomandato alla proprietaria, tale Alba Bianchi, ma per tutti la Signora Alba. La Signora Alba era una donna sulla sessantina, simpatica, corpulenta e coi capelli biondi tinti, aveva sempre una buona parola per tutti.
“È un ragazzo serio, un gran lavoratore, non se ne pentirà” disse lo zio Walter alla Signora Alba, e lei si fidava molto dei suoi più stretti collaboratori. Fece bene, perché a Fede piaceva la falegnameria, amava l’odore del legno, della segatura e della colla. E amava lavorare con le mani perché così, tenendosi anche la testa impegnata, le giornate volavano via. Non era il tipo da star seduto tutto il giorno in ufficio davanti a un computer oppure parlare al telefono per ore con dei rompiballe. Lavorava anche il sabato, ma solo mezza giornata, così, dopo essersi fermato dalla zia Adele a mangiare, andava al bar a farsi i cazzi suoi e poi tornava a casa sua, per mettere un po’ a posto. Gli pesava che la zia l’aiutasse anche nelle faccende domestiche, a parte stirare: quello lo odiava proprio. Fede viveva in una villetta tutta su un piano, all’inizio della via che va sulla montagna, verso il rifugio. Abitava lì con suo fratello minore, Giuseppe detto Bepi, più piccolo di lui di otto anni.
Ma questo sabato aveva un chiodo fisso in testa: la festa giù in Città. In Città ci andava poco e malvolentieri: lo riteneva un posto per fighetti, amministrato da comunisti incapaci e fancazzisti. Per questo motivo era piena di terroni ed extracomunitari che sporcavano le strade e facevano casino la sera fino a tardi. Ma questa volta doveva andare. Non era preoccupato delle conseguenze, quello schifo doveva finire ancor prima di incominciare. E non scherzava Fede, mentre tra se e se ripeteva “faccio un macello”.

La Città avrebbe ospitato lo European Rainbow Project al FrackAsso. Questo FrackAsso era, anzi,  è un locale situato nella zona industriale nord della Città. Essendo, infatti, la vecchia sede di un’acciaieria si trovava lì, in mezzo alle fabbriche ed ai capannoni. Costruito su tre livelli (di cui uno sotterraneo) è molto capiente, tanto da avere una media di tre-quattromila ingressi a serata con punte di cinquemila. Tuttora è il fulcro della vita notturna della zona, richiamando ogni volta ragazzi da tutta la provincia e anche dalle province limitrofe.
Lo European Rainbow Project era un’organizzazione nata a Berlino, una specie di carnevale europeo itinerante che girava per i locali più famosi d’Europa, e si poteva entrare solo in maschera, con un’importante partecipazione di giovani ragazzi, soprattutto gay e lesbiche. Quell’anno aveva toccato oltre a Berlino, l’ormai solito punto di partenza, altre città importanti del vecchio continente come Praga, Graz, Rotterdam, Anversa, Barcellona, Antibes e aveva sempre riscosso enorme successo.

Sarebbe andato da solo giù in Città. “Ti caccerai in un bel guaio” gli disse la coscienza. “Allora meglio non coinvolgere gli altri” gli rispose lui. Duro ma saggio, Fede era sicuro di sé. Non voleva farlo per consolidare la leadership nella setta, chi avrebbe potuto levargliela? Nessuno. Non voleva farlo nemmeno per andare al telegiornale, o apparire sulle pagine di cronaca nera locale, o tanto meno rendersi immortale agli occhi delle future generazioni più o meno estremiste.
Non doveva dimostrare niente a nessuno, Fede.
E allora perché? Senso del dovere? Forse. “La mia città invasa da quelle checche isteriche? – si domandò – Non lo posso permettere. Non ne abbiamo già abbastanza di marocchini, immigrati, comunisti e compagnia bella? Adesso vado là e tutti quelli che mi capitano a tiro li prendo a sprangate”.
Si chiuse dietro la portella, accese il motore e andò a fare il pieno all’ape verde pisello.


Chi vuole leggere il resto del racconto può mandarmi una mail, una twittata o facebookkata...

2 comments:

Vale said...

Voglio la spilletta da Cece Fan #1 :) è bravo questo scrittore, e migliora di racconto in racconto ^^

Cesare Rensenbrink said...

grazie vale, sei la #1!!!

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