Disegnare, una cosa in cui eri il numero uno. Io c'ho provato, come in tante cose, ho scoperto di far cagare, come in tante cose, e ho smesso subito, come in tante cose. Adesso mi limito a scrivere. O meglio, mi limito a mettere parole in fila, una dopo l'altra, più per necessità che per vanto.
Oggi ti scrivo come feci l'anno scorso, quand'eravamo alla soglia dei trenta. Credo sia cambiato poco.
"Solo" abbiamo trent'anni. Avresti trent'anni. Trent'anni: più che un'età uno spartiacque, di là i ragazzi, di qua gli adulti. Lasciamoglielo credere!
Per il tuo compleanno scrissi due righe a riguardo. È passato poco più d'un mese, non ho cambiato idea. Quell'adolescenza che ci abbraccia e non ci vuol far andare. Come una ragazza alla stazione che non vuol farti partire. Scrissi: perché crescere? Non è sufficiente invecchiare?
Lo dico a te non a caso. Lo dico a te perché ti conosco. Perché so che avresti detto: ziocan s'a sun vecc. Ma dentro ti sentiresti ancora come quel ragazzino che eri. Che eravamo. Che siamo stati. Quello che limonava duro al campetto, quello col firefox grigio, quello che d'estate sempre in piscina, quello con la camicia mezza fuori dalle braghe, quello con una testa così di capelli per dei mesi, quello che mi dava rifugio in casa sua quando facevo le fughe da scuola al pomeriggio.
La cosa più brutta, la più crudele in questi sei anni è stata abituarsi pian piano, senza accorgersene, alla tua "non presenza". Quel vuoto, quel buco che forse abbiamo riempito, quel buco che comunque ci abbiamo provato a riempirlo con qualsiasi cosa. Ma la cicatrice è rimasta.
Come quando cambia il tempo, ci sono dei giorni che torna a far male. Ecco, oggi è uno di quei giorni.
1 comment:
Io ho sempre immaginato la cosa come una sorta di viaggio in autobus, con varie fermate e ad un certo punto qualcuno scende...e tu semplicemente prosegui il viaggio...
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