Friday, September 13, 2013

Buco


Copyright Silvia Bernazzali 2013
Un buco pieno di nebbia, così lo chiamava, Vecchio. Era più il tempo che passava a chiedersi cosa ci facesse ancora lì rispetto a quello che dedicava a se stesso ormai.
Vecchio non era felice, o non credeva d'esserlo. Non gl'interessava. E non gl'interessava nemmeno che la cosa si notasse, malcelata com'era tra quegli occhi crepati e tra quei sorrisi spigolosi ch'elargiva con parsimonia. Ridi ogni tanto, gli diceva sempre la Nonna. Una vecchia donna dalla pelle incartapecorita che sosteneva d'averne viste tante, nonostante avesse sempre vissuto in quel buco pieno di nebbia. Eppure possedeva una vitalità eccezionale, la Nonna, e uno spirito tanto forte quanto pessimista. Era la paura a tenerla così in forma. La fottuta paura della morte. Sapete, è quello spirito di sopravvivenza, di conservazione della specie o di come diavolo lo volete chiamare che ci spinge oltre i nostri limiti. È la paura della morte che ti tiene in vita. A meno che tu non sia un matto o un eroe, ma spesso le due cose coincidono e ti portano allo stesso scontato epilogo.
Non ne poteva più, Vecchio. L'aspettativa di una vita sedentaria lo sfiniva. Gli massacrava il fegato e il cuore e gli stringeva lo stomaco. Aspettava una svolta, la desiderava con disperazione. Perché dietro alla disperazione c'è sempre la speranza. Quel colpo di fortuna rimasto in canna e mai esploso. Aspettarlo seduto otto ore al giorno davanti a una scrivania mentre si perdono i capelli, la vista, i denti, la linea. I nervi. La bellezza. La giovinezza. Che alla fine inevitabilmente si perde. Punto. E ci si ritrova come quei vecchi al bar. Che non hanno più nessuno, dopo aver passato la vita a spaccarsi il filone della schiena per guadagnare dei soldi che nemmeno si son permessi il lusso di spendere. Se ne stanno lì, seduti ai tavolini dei bar, o peggio dei circoli, a bere bianchini, ch'è l'unico piacere che gl'è rimasto, mentre stropicciano i giornali e parlano del calcio d'inverno e del Giro d'estate. Manco la figa li scuote più. Forse avranno aspettato una svolta anche loro, sicuramente invano.

Non gli interessavano più quelle storie, a Vecchio, erano sempre le stesse, dopotutto. Non aveva più manco la fantasia d'inventarsene delle nuove; temeva di perdere l'immaginazione in quel buco pieno di nebbia. Voleva andare lontano e iniziare a scoprire. Raccogliere nuove storie in giro per il mondo e poi raccontarle.
Ché il mondo è fatto di storie. Storie da raccontare. Storie incredibili, rinchiuse tra due labbra serrate, mordenti. Celate dietro un paio d’occhi stanchi. Nascoste in angoli bui. Abbandonate su un marciapiede ai bordi di una strada, oppure in una piazza o in un'isola sperduta in mezzo al mare. Ma tutte con la stessa voglia viscerale d'essere raccontate. Anche di nascosto: sussurrate in un orecchio tra i banchi di scuola, confessate a un prete o a una puttana, o sfuggite dalla lingua dopo un bicchiere di troppo davanti al bancone d'un bar.
Storie. Nient'altro.
Lo sapeva, Vecchio. Ed era proprio questo che cercava.

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