Wednesday, December 11, 2013

Kaiserslautern


Bruciava bene la brace, a ogni tiro s'accendeva di rosso come un retronebbia. Però dovevi essere veloce perché sennò ti toccava riaccenderlo.
Eppure, in mezzo a tutto quel vociare e alla musica, se tendevi l'orecchio e ascoltavi attentamente, l'avresti sentito crepitare, il portico, come un camino. Tra tutti quei tiri di paglia, le lampade riscaldanti e le sciarpe di lana sembrava di stare in un altoforno. E la cosa, alla lunga, poteva creare un certo fastidio.
La cenere s'allungava, tanto da spezzarsi e caderti tra i piedi senza nemmeno bisogno di sciccare in un posacenere. Lo sbuffo di fumo poi andava a confondersi e mescolarsi con la fumana di quei giorni.
Mancava poco a Natale. In quel periodo, se non nevica, scende una nebbia così fitta da non riuscire a vedere quasi aldilà della strada. Con questo tempo chi cazzo ci va a Mantova o a Reggio o a Parma? Per non parlare di Bologna o in un'altra cazzo di città. O in un altro cazzo di posto qualsiasi. Che solo per andare al bar bisogna guidare con la testa fuori dal finestrino ché non si vedono le righe ai bordi della carreggiata. E allora uno pensa che se ne stiano tutti in casa davanti alla televisione, a guardarsi un bel film sul divano, con la copertina e il pigiama di ciniglia, mentre s'accarezza il gatto o il cane, magari col caminetto acceso per asciugarsi le ossa dall'umidità. Macché! Il paese vomita fuori tutti i suoi figliocci sballati e annoiati. Quelli che il giorno dopo vanno a messa, quelli che escono con la bamba in tasca, quelli in tiro per andare a figa: tutti comunque si sarebbero sbronzati. Tutti a riversarsi nei bar ché tanto, con una serata così, dove cazzo vuoi che si vada?
Non volendo essere da meno, anche noi ci ritrovammo al bar con la solita compagnia: il Vichingo, il Mezzadro, il Muto e tutti gli altri. Quella sera, non ricordo perché, forse tanto per cambiare, o semplicemente per far vedere che ne sapevo, al posto della solita birra, che al bar sembra piscia, mi finsi "grande intenditore" e mi presi un calice di vinello. E mentre ero lì a gustarmelo, facendo schioccare la lingua sul palato dopo ogni piccolo sorso, conobbi ‘sto tizio. Un tizio grosso come un armadio. Con la barba, e i capelloni. Uno di quelli che però, se lo guardi bene, ha la faccia da giovane: è ancora uno sbarbo che ci prova, a darsi del tono intendo. Entrò quindi in scena 'sto radical chic in erba, con la sua banda al seguito: qualcuno lo conoscevo, qualcun'altro solo di vista, qualcun'altro ancora sembrava sbucar fuori dal nulla. Salutai un paio dei suoi, così lui mi guardò e mi notò manco fossi una bella figa. Insomma mi fissava – un’altra cosa che alla lunga può creare un certo fastidio - e a un tratto mi disse: mi sei simpatico, posso offrirti una canna?
Perbacco!
Poi un altro saltò su: ma tu sei quello del blog?
Signor sì, sono io in persona.
Uscii allo scoperto e mi pavoneggiai entro i limiti della decenza. Iniziammo a discorrere.
E 'st'altro incominciò, tra un tiro a l'altro, a snocciolarmi in serie nomi di chissà chi, forse filosofi tedeschi dell'800 che per quanto ne so io sarebbero potuti benissimo essere i nomi dei calciatori del Kaiserslautern campione di Germania '90/'91; poi attaccò a parlare dell'Olanda e del Giappone. Gli dissi che avevo un cognome olandese. Ci cascò, o fece finta di cascarci, e in quel caso, allora, ci cascai io alla sua finta d'aver abboccato alla storia del cognome olandese. Ma ormai rimase solo il filtro a bruciare, oltre al mio stomaco: maledetto vino. Andai a farmi un paio di birre da un'altra parte, tanto per sciacquarmi la bocca e le viscere. Ché di cazzate, quella sera, non ne avevamo ancora sparate abbastanza.

2 comments:

cooksappe said...

Perbacco!

Cesare Rensenbrink said...

Macché!

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