Buonanotte.
In tre la tenevano ferma. Il quarto le
stava di fronte, in piedi. La guardava. Le afferrò il collo, glielo strinse.
Lei non urlava più, solo piangeva e pregava d'essere lasciata in pace.
Supplicava. "Dai, che adesso ci divertiamo" le disse freddo come
l'inferno. Aveva gli occhi del diavolo. Le strappò la camicetta. Le accarezzò una coscia che spuntava dallo spacco nella gonna rossa e provocante. Le venne la pelle d'oca. Urlò, istintiva. Lui la ricambiò con uno schiaffo. "Ti abbiamo detto di non
urlare". Le sfilò la cintura. Le strappò la gonna. Lei guardava in basso,
così umiliata, spaventata, abbandonata. Così sola. Lui le guardò quel corpo così
perfetto, così bramato. Era tanto che sognava di scoparsela, ma ogni sua
attenzione era sempre stata rifiutata. Respinta. Rimandata al mittente, come i
fiori a San Valentino, l'anno scorso. Adesso era lì e non poteva dire no. Non poteva più
respingerlo. S'accorse solo allora della sua erezione costretta dentro i
pantaloni. Li slacciò e poi li sfilò e si gettò addosso a lei che urlò tutto il
suo orrore. Un urlo che lo fece incazzare così tanto da andare di matto: la
spinse a terra e la prese a pugni in faccia. Il sangue le usciva copioso dal
naso e da un labbro gonfio e tagliato. Aveva un occhio pesto, chiuso. Non si
muoveva più. Non piangeva più. Non urlava più.
Il branco ora avrebbe approfittato di
lei.
Fecero un po' a turno.
In lontananza si sentì un cigolio.
"Shhh! Avete sentito? Che cazzo
è?" s’insospettì uno.
"Sarà il vento tra gli alberi"
tirò a indovinare un altro.
"Oh ah ah" un altro la stava
ancora montando.
Quel cigolio s'avvicinava sempre di più.
Erano lontani dalla strada, e poi in
mezzo a quel boschetto passava solo una pista ciclabile. Ma a febbraio, di
notte, con quel freddo e con quella nebbia non
sarebbe mai passato nessuno s’erano ripetuti. Avevano lasciato l'auto al
parcheggio giù al fiume, poco distante. E poi erano venuti a piedi. Dalla
ciclabile il cigolio si fece sempre più vicino. Un faretto apparve nella
nebbia, dietro di lui una sagoma. Rumore di freni bagnati. Lo videro lì sulla
strada, a una quindicina di metri. Gli sguardi rimasero sospesi nell'aria. "Prendiamolo!" Si erano visti, si erano riconosciuti.
Partirono alla rincorsa di quella figura nella nebbia.
Marco sognava di fare il ciclista ma a
dodici anni una malattia gli cosse il cervello. Marco il matto iniziarono a
chiamarlo. Addio ciclismo, addio sogni di gloria, dissero. Ma lui continuò
sempre a sognare e non smise mai di pedalare. Fregandosene di tutto e tutti.
Passava le sue giornate in sella a una vecchia Bianchi Lusso del ’55. Era tutto
quello che aveva.
E aveva anche visto tutto Marco il matto.
Aveva visto quella scena e anche il branco sapeva che Marco, pur essendo matto, era in grado di riconoscere benissimo il bene dal male. E il branco era il
male. E il male rincorreva Marco che, nonostante le quarantaquattro primavere,
filava come il vento tra gli alberi e la nebbia. Si mangiava la strada
sollevando foglie morte con quegli altri dietro a rincorrerlo. Il boschetto era
ormai alle spalle, e Marco sentiva d'aver vinto la sua gara, si guardò indietro e li vide lontani. Sorrise. Tornò con gli occhi sulla strada. Era
all'incrocio. I freni non funzionavano un granché quand'erano bagnati. Lungo la
provinciale che tagliava in mezzo il paese, le macchine filavano lanciate.
Evitò la prima, ma non fece in tempo a evitare la seconda. Chiuse gli occhi. Lo schianto. Venne
falciato.
Il branco si fermò. Assistette alla
scena. Sguardi d'intesa, respiri affaticati, pacche sulle spalle piegate sulle ginocchia, sorrisi su visi distesi. Tornarono
indietro a finire di divertirsi.
Due giorni dopo il branco venne
arrestato.
Due giorni dopo il corpo di una ragazza
venne trovato incastrato tra dei sassi e dei rami lungo la sponda del fiume.
Due giorni dopo Marco il matto morì per
le ferite riportate nello scontro con una vettura la notte del 14 febbraio.
No comments:
Post a Comment