Monday, January 14, 2013

Mexico City


I racconti: li scrivo ancora.

Ci trovammo a bere noi quattro. Si festeggiava il ritorno del Vichingo, tornava a Reggio dalla Svizzera, finalmente dopo anni di esilio lo trasferirono vicino a casa. Il Vichingo, - mi vien da ridere - lo chiamavamo così perché era alto, grosso, rozzo, dai lineamenti nordici e dall'aspetto sgradevole. Però era un buono e noi gli volevamo bene.
Ci piazzammo tutta sera al messicano, dall'aperitivo al dopo cena. Alle dieci eravamo già sbronzi duri. Decisi di bere per divertirmi e distrarmi: per non pensare a Sam. Cosa che puntualmente non feci, al contrario le pensai un sacco. Prima o poi avrei imparato anche quella lezione. Io, persona sgradevole, maleducato, irriverente e molesto, indaffarato ad attaccare gancio a trentasettenni divorziate, cariche e di bell'aspetto con l'inflazionata scusa dello scrittore; oppure alle ventunenni studentesse più sgarappate, all'apparenza, ma che credono ancora nel principe azzurro. Pensavo a Sam. Chissà cosa stava facendo. Dopo aver bevuto il mondo, io, il Vichingo, Roberto Mutini detto il Muto e il Mezzadro decidemmo di andare al night. Il Mezzadro aveva voglia di figa, come al solito, gli altri un po' meno. Io pensavo a Sam.
Salimmo in macchina. Arrivammo a destinazione, parcheggiammo ed entrammo. Presi una birra per ostinazione. Mi resi subito conto di non averne voglia, ma, con quel che costava il bere là dentro la finii. Mi defilai, seduto su un divanetto a guardare il solito trito spettacolino di tette e culi svolazzanti. Mi appoggiai e mi addormentai. Pensavo a Sam. Forse era a divertirsi. Forse era a casa a spassarsela con Occhiblù. E io avrei voluto essere Occhiblù. Mi sarei fatto anche Occhiblù, adesso che ci penso. Mi svegliarono, con una manica mi asciugai un occhio che stava lacrimando, sbadigliai e, barcollando, uscii dal locale. Andammo ad ammazzare la nottata facendo colazione in un bar pieno di adolescenti rumorosi.
Il giorno dopo mi svegliai con un mal di testa impietoso ed insistente. Più insistente di un venditore porta-porta. Più impietoso delle solite promesse dei politici alla TV. Avevo anche il caghetto e pensai di meritarmi di star così male, ormai ero grande per comportarmi in quel modo e gli adulti non fanno così. Non pranzai, rimasi a letto il più possibile, poi feci una doccia calda per provare a riprendermi e andai in bar a lavorare. Avevo il turno. Avevo il vomito. Non spiaccicai una parola al lavoro. La gente era maleducata e irrispettosa. Li odiavo tutti. I bambini, gli adolescenti, i quarantenni, le mamme e i vecchi. Finito il turno, presi i miei soldi e tornai a casa.
         Buio. Pioggia. Freddo. Era stata una giornata che più di merda non si poteva. Ero stanco, ma mi misi lo stesso alla scrivania e scrissi due righe. Una merda. Tirai una riga e mi accorsi del telefono, l'avevo ignorato tutto il giorno. Mandai un messaggio a Sam, le dissi che volevo di più da noi due, e pensavo di meritarlo. Ma lei frenò: andava bene così perché così era perfetto ma, se io stavo male, era meglio finirla lì. Fu così: finì lì. Mi scrisse anche Occhiblù: hai rotto il cazzo. Non mi stupì. Anzi, capii ed incassai, non avevo voglia di discutere. Mi sentivo come il sacco di un pugile: indifeso ma indifferente ai colpi e ai fendenti. Mi spogliai, mi lavai i denti diligentemente come un bambino di otto anni e andai a letto. Lessi qualche pagina di un libro di Hemingway, poi spensi la luce e finalmente mi addormentai.
Ancora una volta il cattivo ero io.

4 comments:

Anonymous said...

Bravo Cece,
hai rotto il cazzo, ma cominci a buttare giù frasi e parole come un vecchio scrittore navigato.
Un plauso.

Occhiblù

Anonymous said...

;)

Anonymous said...

Bello bello, il migliore di quelli che ho letto e che mi hai mandato.
La frase finale poi è una piccola chicca.
Sei bravo quando parli di cose che sai...

Hermano

Gio said...

Le 37enni divorziate,te addormentato sul divanetto di un night,il tuo ghigno smaronato al bar e l'alito che sa di mentadent,ma con l'amaro in bocca

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