I racconti: li scrivo ancora.
Ci
trovammo a bere noi quattro. Si festeggiava il ritorno del Vichingo, tornava a
Reggio dalla Svizzera, finalmente dopo anni di esilio lo trasferirono vicino a
casa. Il Vichingo, - mi vien da ridere - lo chiamavamo così perché era alto,
grosso, rozzo, dai lineamenti nordici e dall'aspetto sgradevole. Però era un
buono e noi gli volevamo bene.
Ci piazzammo tutta sera al messicano, dall'aperitivo al dopo cena. Alle
dieci eravamo già sbronzi duri. Decisi di bere per divertirmi e distrarmi: per non
pensare a Sam. Cosa che puntualmente non feci, al contrario le pensai un sacco.
Prima o poi avrei imparato anche quella lezione. Io, persona sgradevole,
maleducato, irriverente e molesto, indaffarato ad attaccare gancio a trentasettenni
divorziate, cariche e di bell'aspetto con l'inflazionata scusa dello scrittore;
oppure alle ventunenni studentesse più sgarappate, all'apparenza, ma che
credono ancora nel principe azzurro. Pensavo a Sam. Chissà cosa stava facendo.
Dopo aver bevuto il mondo, io, il Vichingo, Roberto Mutini detto il Muto e il Mezzadro
decidemmo di andare al night. Il Mezzadro aveva voglia di figa, come al solito,
gli altri un po' meno. Io pensavo a Sam.
Salimmo in macchina. Arrivammo a destinazione, parcheggiammo ed
entrammo. Presi una birra per ostinazione. Mi resi subito conto di non averne
voglia, ma, con quel che costava il bere là dentro la finii. Mi defilai, seduto
su un divanetto a guardare il solito trito spettacolino di tette e culi
svolazzanti. Mi appoggiai e mi addormentai. Pensavo a Sam. Forse era a
divertirsi. Forse era a casa a spassarsela con Occhiblù. E io avrei voluto
essere Occhiblù. Mi sarei fatto anche Occhiblù, adesso che ci penso. Mi
svegliarono, con una manica mi asciugai un occhio che stava lacrimando,
sbadigliai e, barcollando, uscii dal locale. Andammo ad ammazzare la nottata
facendo colazione in un bar pieno di adolescenti rumorosi.
Il giorno dopo mi svegliai con un mal di testa impietoso ed insistente.
Più insistente di un venditore porta-porta. Più impietoso delle solite promesse
dei politici alla TV. Avevo anche il caghetto e pensai di meritarmi di star
così male, ormai ero grande per comportarmi in quel modo e gli adulti non fanno
così. Non pranzai, rimasi a letto il più possibile, poi feci una doccia calda
per provare a riprendermi e andai in bar a lavorare. Avevo il turno. Avevo il
vomito. Non spiaccicai una parola al lavoro. La gente era maleducata e
irrispettosa. Li odiavo tutti. I bambini, gli adolescenti, i quarantenni, le
mamme e i vecchi. Finito il turno, presi i miei soldi e tornai a casa.
Buio. Pioggia. Freddo. Era stata una
giornata che più di merda non si poteva. Ero stanco, ma mi misi lo stesso alla
scrivania e scrissi due righe. Una merda. Tirai una riga e mi accorsi del telefono,
l'avevo ignorato tutto il giorno. Mandai un messaggio a Sam, le dissi che
volevo di più da noi due, e pensavo di meritarlo. Ma lei frenò: andava bene
così perché così era perfetto ma, se io stavo male, era meglio finirla lì. Fu così:
finì lì. Mi scrisse anche Occhiblù: hai rotto il cazzo. Non mi stupì. Anzi,
capii ed incassai, non avevo voglia di discutere. Mi sentivo come il sacco di
un pugile: indifeso ma indifferente ai colpi e ai fendenti. Mi spogliai, mi
lavai i denti diligentemente come un bambino di otto anni e andai a letto.
Lessi qualche pagina di un libro di Hemingway, poi spensi la luce e finalmente mi
addormentai.
Ancora
una volta il cattivo ero io.
4 comments:
Bravo Cece,
hai rotto il cazzo, ma cominci a buttare giù frasi e parole come un vecchio scrittore navigato.
Un plauso.
Occhiblù
;)
Bello bello, il migliore di quelli che ho letto e che mi hai mandato.
La frase finale poi è una piccola chicca.
Sei bravo quando parli di cose che sai...
Hermano
Le 37enni divorziate,te addormentato sul divanetto di un night,il tuo ghigno smaronato al bar e l'alito che sa di mentadent,ma con l'amaro in bocca
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